12 febbraio 2019

Recensione#86 Quest'anno non scendo - Casa Surace

Se Maometto non va alla montagna,
la montagna va da Maometto.

Buongiorno, no...non sono andata fuori di testa, solamente che, non ho trovato frase più azzeccata per introdurvi il romanzo che ho appena finito di leggere. Ques'anno non scendo di Casa Surace, edito Sperling&Kupfer in commercio da Novembre 2018, quindi proprio "fresco fresco".

Quest'anno non scendo è una frase off-limits per un fuorisede. Antonio Capaccio, meridionale  doc, vive a Milano da anni, ma frequentando università  e poi da stagista, è sempre riuscito a tornare a casa per le feste, soprattutto quelle natalizie. Qualche giorno prima di Natale, arriva la tanta attesa notizia e sta per lasciare il posto da precario per raggiungere il tanto atteso posto indeterminato. Bello no? Felicità alle stelle, ma...eh si c'è un ma, il contratto parte da subito e quindi il Natale in famiglia rimane un utopia. Antonio a questo può anche abituarsi, il problema è come comunicarlo alla famiglia e soprattutto a mamma Antonietta. 
«Allora, come l’ha presa?» chiese Sara sorridendo.
«’Ncapa», rispose Antonio. «L’ha presa bella forte ’ncapa.»
Antonio allora, si fa coraggio e chiama mamma che apprende la notizia nel momento meno opportuno, a tre metri di altezza, su un baldacchino che la porta in processione per le vie del paese nelle vesti di Santa Lucia. Antonietta tra grida, urla e disperazione fa perdere l'equilibio ai portatori e si scatena il caos, facendo finire mezzo paese, lei compresa in ospedale.
Il marito, Rocco Capaccio, al suo capezzale, nella speranza di farla risvegliare, fa promesse che non manterebbe mai se dettate in altre circostanze, addirittura arriva a giurare di portarla a Milano per trascorrere il Natale insieme ad Antonio: miracolosamente la donna apre gli occhi.
Come tutte le famiglie meridionali che si rispettino, la famiglia Capaccio è numerosa e se si sposat a uno, si spostano tutti. Cosi TUTTINSIEME ( mamma Antonietta, papà Rocco, Pasqui, nonno Andrea, nonna Rosetta, zia Tettella, Rosa, Andrea ed Eugenio) a bordo di uno scassatissimo furgone Volkswagen anni Settanta a nove posti, inizia il viaggio avventuroso "paese paese" della famiglia verso il Nord. 
TUTTINSIEME: perché una famiglia è una famiglia solo quando non si divide.
Andiamo per ordine: Conoscete Casa Surace?
Casa Surace è una factory e casa di produzione nata del 2015 da un gruppo di amici e coinquilini. nasce come una community che realizza brevi video in chiave ironica e realistica sulle radici ben radicate del Sud. L'idea di questo romanzo nasce proprio da un video del 2017 ambientato proprio a Natale.
Ho letto il libro già con l'allegria nel cuore, seguo Casa Surace sul web, guardo spesso i loro video e mi leggo le perle di saggezza di nonna Rosetta, quindi, non potevo perdermi questo primo romanzo che sento anche un pò mio.
«Si freddaaaaaaaaaaa», si sentì riecheggiare.
Sara scoppiò a ridere.
«Certo che la imiti bene tua madre», disse voltandosi nuovamente, bottiglia alla mano, verso Antonio.
«Sara, io non ho detto niente», ribatté lui.
«Antonioooooooooooooo, si freddaaaaaa», si sentì ancora. Drizzò le orecchie, guardò oltre Sara. Non aveva dubbi.
Lasciò velocemente l’ufficio, si diresse verso il corridoio, aprì la finestra e si affacciò: tre piani più sotto, accanto alla macchina di Sara, era parcheggiato un furgone della polizia. Un poliziotto in divisa, appoggiato al cofano, stava fumando una sigaretta. Sulla sinistra, le teste alzate verso il cielo, tutta la sua famiglia lo guardava sorridendo.
La trama, per quanto a tratti può risultare assurda, per me è reale al cento per cento, difficile da capire per chi non è un fuorisede e non ha alle spalle una famiglia meridionale. Il finale ovviamente non poteva andare diversamente, ma quello che più "impressiona" è il viaggio avventuroso "paese paese" della famiglia. Quando ho scoperto il perchè papà Rocco non voleva prendere l'autostrada, ho riso fino alle lacrime.
Ho un ricordo della mia famiglia di qualche anno fa, a Natale noi figli non potevamo scendere e giustamente si son mobilizzati loro. Dovevano stare al Nord per quasi un mese e si sa che viaggiando in aereo il peso dei bagagli è limitato. Mo vi faccio ridere. qualche giorno prima della partenza hanno spedito 30 kg di pacco con dentro ogni ben didio, poi dentro il baglio a mano, hanno "azziccato" due, e dico due di numero, cambi esatti di vestiario e  il resto ancora cibo: arancie, limoni, sasizza sicca, provoletta, calacausi, simenta, pani ri casa e chi più ne ha più ne metta. Questo per farvi capire perchè sento questo romanzo anche un po mio e non mi sono sorpresa quando nonna Rosetta pretendeva di cucinare il sugo dentro il nove posti.
«Bello a nonna, vuoi vedere se in mezzo a quelle valigie ci sta una busta arancione?» chiese, indicando il fondo del nove posti.
Intanto Rocco aveva sentito di nuovo quel tintinnio di ferro e il successivo rumore sordo. «L’avete sentito anche voi?» chiese preoccupato agli altri. Ma nessuno lo degnò di considerazione.
«Nonna, dai, ma come faccio a guardare? Non si capisce niente qua dietro. Mèh, che cosa ci sta dentro comunque?» chiese Pasqui.
«Cinque chili di carne di cavallo», rispose lei senza scomporsi.
«Rose’, scusate, ma quanta roba avete portato?» volle sapere Rocco.
«E che ne so? So’ andata a occhio, che ne so quanto ci mettiamo?»
I personaggi, sono proprio "dei personaggi" nel senso che ognuno di loro è fatto a modo suo. Guardando spesso i video in rete, mi è risultato facilissimo associare un volto ed un tono di voce ad ognuno di loro e a leggere imitando le loro espressioni.
Il mio personaggio preferito rimane sempre e comunque Nonna Rosetta, che secondo me è quella che rispecchia più il prototipo di nonna meridionale. Le sue frasi, la fermezza con cui le pronuncia, l'espressione e tutto il resto mi ricordano troppo mia nonna.
La lettura è scorrevole, leggere e divertente. Il linguaggio è sarcastico e ricco di metafore. Ho amato le troppe espressioni dialettali per rafforzare il concetto e anche il glossario per i non terroni che si trova a fine libro. 
Abito al nord dal 2012, non ho perso il mio accento marcato anche se come Antonio mi chiedo spesso se si sente così forte e amo parlare la mia lingua. Molto spesso, per rafforzare il concetto di determinate frasi uso appositamente il mio dialetto per far emergere il succo principale della questione, ed è proprio questo che ha fatto Casa Surace usando il loro dialetto.
Il romanzo, oltre ad essere divertente, stravagante e scritto in chiave ironica, passa un messaggio forte e veritiero: il valore della famiglia. Io per prima mi lamento che anche a 1600 km di distanza, i miei mi soffocano chiamandomi 4/5 volte al giorno, chiedendomi se ho mangiato, cosa ho mangiato, se fa freddo o caldo però, senza tutto questo calore non mi sentirei a casa pur trovandomi distate da loro...per non parlare del "passa passa" telefonico. Ho una famiglia del Sud e diciotto ore su ventiquattro stanno tutti insieme, non so se è un bene ma io la amo così.
«Vuoi sapere cosa penso io?» chiese ritornando serio. «Penso che ogni famiglia è strana. E che forse la tua famiglia del Sud è un po’ più strana. Ma che funzioni o no, che sia una cosa del passato o meno, a me il malocchio è sembrato “vero”. E tutto con voi mi sembra vero, reale, importante, antico. Non dico che dovresti esserne fiera, non sempre, non di tutto, ma almeno, anche se te ne vuoi andare da San Vito, non ti dimenticare da dove vieni e chi ti ha reso quella che sei.»
Sono sincera volevo dare cinque stelleclessidre ma sono riuscita a non farmi prendere dal sentimentalismo. Ho amato questo libro perchè in fondo racconta un pò anche la mia storia come la storia di tutti i fuorisede, ho riso, ho ricordato, mi sono commossa. Consiglio la lettura a tutti, terrun e non!

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