Titolo: Il garzone del boia
Autore:Simone Censi
Casa editrice: Elison Publishing
Prezzo ebook: 3, 99 €
N° di pagine: 177
Trama: Ambientato nell'Italia dell’Ottocento, IL GARZONE DEL BOIA è la storia del più celebre esecutore di sentenze capitali dello Stato Pontificio, Giovanni Battista Bugatti detto Mastro Titta, raccontata dal suo aiutante comprato per pochi soldi dalla famiglia di origine per farne il proprio garzone.
Una visione assai diversa, a volte in contrasto con quella del proprio Maestro che vede il mestiere del boia come una vocazione, mentre per il buon garzone è solamente una scelta obbligata dalla quale fuggire alla prima occasione.
Gli eventi si susseguono tra le esecuzioni di assassini e le storie vissute dai protagonisti o raccontate dal popolino sotto la forca.
Il Maestro cresce il proprio aiutante iniziandolo anche alla lettura e alla scrittura, così che il romanzo presenta una doppia stesura.
Una prima, in corsivo, fatta dall'aiutante alle prime armi, con un linguaggio spesso forte e colorito e una seconda scrittura, quando oramai avanti con l’età su consiglio del suo analista, riprende in mano questa storia per fuggire dai fantasmi che ancora lo perseguitano.
Estratto:
Per me L' avventura era iniziata così.
Partimmo di notte neanche fossimo stati fuggiaschi, ammantati in lunghe cappe, Mastro Titta aveva già preparato il carro, la mula Ortensia e tutto il necessario. All’epoca era un vero e proprio viaggio denso di pericoli e insidie, fatto di lunghi spostamenti per strade al di fuori di ogni controllo, dove qualsiasi incontro poteva rivelarsi arrischiato. Le strade erano poco servibili e si reggevano nel migliore dei casi sui lastricati che avevamo ricevuto in eredità dai romani, spesso divelte e smottate da intemperie, usura e radici di alberi. Questi, cresciuti lungo i cigli, andavano deformando la carreggiata con il rischio di far saltare una ruota o farla finire in un fosso se non si usava la massima cautela nel procedere. Ci volle il tempo per abituarmi, ricordo solamente che i primi anni arrivavo sempre con il sedere dolorante.La cosa peggiore era quando nelle strette strade di campagna, perché le vie percorribili erano sempre le stesse, s’incrociavano diligenze pubbliche, cavalli di posta o vetturini. Si rischiava sempre nel tentativo di passare entrambi, di finire in un dirupo. Avvolto nel pesante mantello mi addormentai dietro al carro e mi risvegliai che aveva già fatto giorno nell’alta valle dell’Aniene, con la città che sorgeva a scalinata su di una rupe rocciosa. Chiesi al Maestro se poteva fare una sosta per i bisogni del mattino ma lui rispose che dovevo scendere al volo e poi correre per riprendere il carro. La strada che stava percorrendo era più lunga ma sicura, però non ci si doveva fermare che se facevamo tardi sarebbero stati dolori con il Monsignor Fiscale. Scesi borbottando e andai a mingere sul ciglio della strada mentre lui a lenta andatura continuava ad avanzare. Stavo facendo il bisogno che dovevo quando a un certo punto vidi corrermi incontro un folle che usciva attraverso i campi mezzo nudo, tutto quanto sporco di sangue e con un coltello in mano.
Per me l'avventura era iniziata così.
Stavo lì che lo guardavo incredulo con il coso in mano mentre si avvicinava minaccioso, quando arrivato alla portata, Mastro Titta che in quanto a freddezza non aveva eguali gli assestò un colpo d’incontro all’altezza della fronte che lo fece ribaltare indietro e stramazzare a terra svenuto, mentre io mi ero già bello che bagnato le braghe. Non sapendo se la botta poteva risultargli fatale, una volta legato alla sponda del carro lo portammo direttamente ai birri e le autorità lo presero in custodia, identificandolo come tal Domenico Treca il merciaio del paese. Anche i birri di Subiaco che lo conoscevano bene, rimasero sconvolti dallo stato in cui si trovava il giovane, onesto e rispettabile cittadino, il quale ripresosi dallo svenimento ma ancora in fase di forte mancamento non dava nessuna informazione su casa gli era accaduto, se non il fatto che ripeteva ossessivamente la parola “vendetta”. Pensarono tutti che fosse stato vittima di un grasseggio e che il sangue che aveva raggrumato fosse il suo, così insieme ai birri si decise che la cosa migliore da fare era quella di riportarlo a casa e chiedere alla moglie Felìcita se sapeva dare spiegazione alla cosa. Uno dei birri più anziani e in confidenza con il mio Maestro, mentre il Treca era di nuovo svenuto, bisbigliò che la moglie di quello era una delle donne più belle di tutta Subiaco e anche una delle più frequentate, lasciando intendere che il povero marito, testuale: «avea guai ad andar pe lo bosco, senza sbatte co le rame più vasse».Arrivammo trafelati all’uscio di casa del Treca con lui ancora in spalla, che non si era del tutto ripreso e non ricevendo risposta al ripetuto bussare, viste anche le numerose macchie di sangue lì nei pressi, i birri iniziarono a buttare giù la porta a spallate. Fu così che una volta entrati e seguite le orme lasciate a terra che si rincorrevano per tutta la casa come se qualcuno fosse scappato inseguito dal demonio, trovammo al primo piano, nella stanza da letto, il misfatto. Alla vista di tutta la gendarmeria e del gran trambusto causato per fare irruzione nella casa, più di un curioso s’andò accostando, cercando pure di entrare in casa del merciaio e salendo le scale. Felìcita, la moglie del Treca, stava a letto con un'altra donna più grande, identificata poi come sua sorella che era stata accolta in casa dalla coppia una volta divenuta vedova e rimasta sola.La cosa più sconvolgente era che in compagnia delle due donne che stavano distese e discinte, vi era un terzo allungato a lato del letto in una pozza di sangue. I birri cercavano in ogni modo di allontanare i curiosi accorsi per il tanto clamore, ma la gente che si era affollata attorno aveva già capito tutto e la notizia di bocca in bocca già si diffondeva.Il gallo nel pollaio del Treca era il giovane curato arrivato da non troppo tempo da quelle parti e stava un po’ troppo sbottonato per dare benedizioni e soprattutto un po’ troppo morto per portare argomenti a suo favore. Come il Treca si riebbe dinanzi a quel misfatto, gli risalì un impeto di rabbia e iniziò a biastimare e inveire contro il curato, la moglie e la di lei sorella. Vista la situazione un poco affollata e l’odore di sangue farsi pregnante in quella stanza che tenevano chiusa per evitare occhiate indiscrete di chi già si stava arrampicando sui tetti vicini, decisi che la cosa migliore era quella di attendere fuori il Maestro che mi riferisse sul da farsi. Così iniziai a fare la processione tra tutti i gruppi di curiosi che là davanti si erano radunati e che cambiavano discorso quando si accorgevano che l’aiutante del boia si faceva appresso. Ognuno diceva la sua e assommando tutte le versioni venne fuori quella popolarIo, ad essere sinceri, ero sempre per il: Vox populi, vox Dei 1 , ma Mastro Titta, in più di una occasione si dimostrò per: Nec audiendi qui solent dicere, Vox populi vox Dei, quum tumultuositas vulgi semper insaniae proxima sit. 2 A dire la verità Alcuino questa volta si sbagliava di grosso e ora vi spiegherò le ragioni di Isaia.
1 “Voce del popolo, voce di Dio” Bibbia, Libro di Isaia 66,6.2 “Non ascoltate chi dice che la voce del popolo è la voce di Dio, perché il rumore della massa è sempre vicinaalla follia” Alcuino da York.
Dove Trovarlo
Interessante, potrebbe essere una delle mie prossime letture.
RispondiElimina:)