27 gennaio 2019

Recensione#82 Luce rubata al giorno - Emanuele Altissimo

Domenica un po' triste.
Non è successo nulla di grave.
La tristezza me l'ha trasmessa la profondità del libro che ho appena terminato di leggere.
Luce rubata al giorno di Emanuele Altissimo, romanzo contemporaneo, pubblicato il 9 Gennaio da Bompiani Editore.


Diego e Olmo sono due fratelli che avendo perso i genitori in un incidente vivono con il nonno Aime. Decidono di trascorrere l'estate nella loro casa in montagna, in un'immaginaria Valle d'Aosta, con la speranza di alleviare il dolore e trovare un poco di serenità nell'immensità di quelli spazi. Ed è proprio durante questa lunga estate che si manifesta la malattia mentale di Diego, il fratello maggiore. Solo Olmo capisce che Diego sta scivolando in un universo parallelo, non semplice da raggiungere, sconfinato nella follia...vorrebbe aiutarlo ma non sa come fare e ha paura anche a parlarne con il nonno.
Durante il tragitto in taxi, volle che gli ripetessi ogni parola di mio fratello, tutto quel che avevo visto.
“Perché non me l’hai detto prima?” domandò quando ebbi finito.
Appoggiai la fronte contro il finestrino.
“Avevo paura.”
“Non ti avrei fatto niente.”
Il paesaggio cambiava in fretta. Di nuovo la pianura con i suoi campi aridi, i paesi di periferia, i capannoni delle fabbriche. Non lontano dall’autostrada vidi un platano con una lunga spaccatura che correva per il tronco. La cima era annerita per lo schianto del fulmine, tutt’intorno pezzi di corteccia.
“Avevo paura di lui.”
Olmo è appassionato di modellismo e riesce a salvarsi dall'angoscia che lo assale attraverso la costruzione dell'Empire State Building, il grattacielo di Manhattan sopravvissuto all'urto di un Bomber B-25 nel 1945, perché, come dicono gli ingegneri, ogni edificio ha una tensione ammissibile,  capace di sopportare urti anche violentissimi.
Ma in una famiglia, fino a che punto siamo capaci di accettare la sofferenza senza crollare?
“Nonno?”Mi rivolse un’occhiata.“Si può smettere di voler bene?”Gli tremò la gola, ma il suo volto restò serio.“Forse sì” mormorò.“Allora domani ci provo” dissi. “Così lui non si arrabbia con noi.”
La trama mi ha travolto come un treno, sarà che amo il racconto in prima persona, mi fa sentire uno spettatore "attivo", ho divorato il libro in pochissimo tempo, più leggevo più volevo sapere. Anche in questo caso, non ho lo letto la sinossi prima ma solo a fine libro quindi non sapevo a cosa andavo incontro. Quel senso di mistero, curiosità mi ha tenuta spesso con il fiato sospeso e una lacrima li li pronta a scendere giù. 

A raccontare è Olmo, esprimendosi in prima persona ci fa immergere nella sua vita da ragazzino, cresciuto forse troppo in fretta, mettendo a nudo il suo amore verso la famiglia che gli è rimasta e che sta vedendo sciovale dalle mani, ci rende partecipi dei suoi momenti felici ma anche quelli pieni di paura, scorci di vita quotidiana che rispecchiano e può essere quella di ognuno di noi.

I personaggi, anche quelli meno presenti come può essere il cucciolo di daino o l'amichetto di Olmo, sono tutti elementi importantissimi in questo racconto. Tutti descritti minuziosamente e l'autore è stato bravissimo a far emergere tramite la parola di Olmo, i loro sentimenti anche quelli più intimi.

Ognuno a modo suo fa rumore silenziosamente. Diego è colui che mi ha suscitato più interesse, la sua malattia mai espressa esplicitamente, il suo carattere duro e fragile allo stesso tempo, mi ha trasmesso la curiosità e la voglia di andare fino alle ultime pagine, leggendo anche i ringraziamenti fatti dall'autore. Ho amato anche la saggezza di Olmo, questo suo essere responsabile e pacato, in certi aspetti mi è sembrato quasi che fosse lui a prendersi cura del fratello e non viceversa. Un enorme apprezzamento per il nonno, un uomo con una grandissima responsabilità sulle spalle e altrettanto dolore nel cuore...un grande uomo che nonostante ha impiego tutte le sue forze per crescere al meglio i nipoti si sente di aver fallito. 
Si fermò per togliersi una lacrima dalla guancia.
“Ho fallito, con lui” mormorò. “Spero che tua madre mi perdoni.”
L'autore stesso definisce i suoi personaggi come dei giganti, Diego perché incapace di farsi bastare il suo mondo e sogna di scalare le montagne per arrivare al cielo; Olmo e il nonno perché hanno la forza e la capacita di reggere un dolore senza prospettiva di consolazione. Non a caso, secondo me, il romanzo è stato ambientato proprio in montagna...l'immensità della natura, l'altezza delle vette.

La lettura è scorrevole, il libro è scritto in modo semplice e naturale ma non per questo l'autore non è riuscito a renderlo accattivante. Emanuele Altissimo nella sua semplicità di scrittura ricca di particolari, rende il romanzo quasi reale, o magari in parte lo è.

Il finale mi ha sconvolto, lo credevo diverso, lo VOLEVO diverso. Ed è stato proprio girando l'ultima pagina che la lacrima che per troppo tempo era indecise se scendere o meno si è lasciata andare...e mi son sentita più leggera ma triste. Triste per la malattia di Diego, triste per Olmo, triste per il nonno volato a miglior vita. Triste per gli argomenti trattati e ancora purtroppo considerati tabù, argomenti seri che non vanno nè nascosti nè sottovalutati.
Un romanzo dolce e molto significativo che consiglio a tutti di leggere. Una lettura che arriva dritta al cuore di ogni lettore e che fa riflettere. Non ho dato le cinque stelle perchè paragonandolo ad altre letture valutate come insuperabili, ho capito che i sentimenti provati erano un tantino differenti. Mi è piaciuto molto ma non mi ha fatto dire Wow

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